Si riceve il Lun. - Mer. - Ven. 16:00 - 19:00

Affido super-esclusivo e diritto alla bigenitorialità

La Cassazione impone rigore e misura

Con la sentenza n. 24876, depositata il 9 settembre 2025, la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione torna a interrogarsi sul delicato equilibrio tra l'interesse del minore e il diritto-dovere di entrambi i genitori di partecipare alla sua crescita. Il tema, tra i più sensibili del diritto di famiglia, ruota attorno all'uso dell'istituto – giurisprudenziale e non codificato – dell'affido super-esclusivo, che priva uno dei genitori non solo della convivenza quotidiana con il figlio, ma anche della possibilità di contribuire alle decisioni più rilevanti per la sua formazione.

Il caso trae origine da una situazione ormai sempre più frequente: una coppia separata, con un genitore residente all'estero e l'altro stabilmente in Italia, dove vive anche la figlia minore. Il Tribunale prima e la Corte d'Appello poi hanno affidato la bambina in via super-esclusiva alla madre, escludendo il padre non solo dalla vita quotidiana della figlia, ma anche dalle scelte educative, scolastiche e sanitarie. Il ricorrente, residente negli Stati Uniti, ha impugnato la decisione sostenendo, tra le altre cose, che la madre avrebbe messo in atto comportamenti ostruzionistici volti a minare il rapporto tra lui e la figlia, condizionandone in modo profondo la percezione del ruolo paterno.

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, ha operato una ricostruzione puntuale del quadro normativo, sottolineando un principio tanto semplice quanto fondamentale: l'affido condiviso è la regola, quello esclusivo l'eccezione. Laddove si scelga di escludere uno dei genitori dall'esercizio della responsabilità genitoriale, tale scelta deve poggiare su un accertamento rigoroso, fondato su elementi concreti e documentati. Non è sufficiente rilevare una situazione di conflittualità, né constatare che il minore rifiuti il rapporto con uno dei genitori, se non si indagano a fondo le cause di tale rifiuto e le sue eventuali manipolazioni.

La sentenza distingue chiaramente tra affido esclusivo e super-esclusivo. Il primo è previsto dall'art. 337-quater c.c. e comporta che uno solo dei genitori eserciti la responsabilità genitoriale, ma lascia comunque all'altro un ruolo cogestionale sulle decisioni più importanti. Il secondo, di origine pretoria, prevede invece che anche le scelte fondamentali siano assunte in via esclusiva da un solo genitore, riducendo l'altro a un mero osservatore, privo di poteri effettivi. Proprio per la sua natura eccezionale e per l'assenza di un ancoraggio normativo espresso, l'affido super-esclusivo richiede – a detta della Corte – un vaglio particolarmente severo, paragonabile a quello previsto dagli articoli 330 e 333 c.c. in materia di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale.

Nel caso concreto, i giudici di merito avevano attribuito rilevanza al rifiuto manifestato dalla minore nei confronti del padre e alla sua assenza dalla vita quotidiana della figlia. Tuttavia, avevano trascurato di approfondire il significato e l'origine di quel rifiuto. La CTU svolta nel corso del giudizio aveva messo in luce un rapporto madre-figlia fortemente sbilanciato, connotato da una dipendenza psicologica e da una rappresentazione fortemente svalutativa della figura paterna. Eppure, tali elementi erano stati ignorati nella motivazione della decisione, che si era limitata a constatare l'assetto esistente, ritenendolo "stabile" e dunque preferibile, senza valutare se quella stabilità fosse il frutto di un equilibrio sano o piuttosto l'esito di una dinamica disfunzionale.

La Corte di legittimità chiarisce che il giudice non può desumere l'inidoneità genitoriale dalla semplice difficoltà di esercitare il proprio ruolo, se quella difficoltà è causata da ostacoli imputabili all'altro genitore. In altri termini, la frustrazione o la rinuncia di un genitore, qualora siano reazioni a condotte sistematicamente ostruzionistiche, non possono giustificare la sua esclusione. È necessario un accertamento analitico, che tenga conto delle cause della conflittualità, del contesto relazionale, e soprattutto della responsabilità soggettiva dei genitori rispetto alla situazione venutasi a creare.

Il passaggio forse più significativo della sentenza riguarda la nozione di interesse del minore. La Corte sottolinea come tale interesse non possa essere valutato in chiave statica o meramente fotografica. Il fatto che il minore appaia "adattato" a un certo assetto non basta a legittimarlo sul piano giuridico. L'interesse del minore, infatti, ha una dimensione dinamica: implica la tutela del suo equilibrio psico-affettivo nel presente, ma anche la salvaguardia di relazioni affettive significative e la possibilità di ricostruirle nel tempo. La stabilità, in questa prospettiva, è un valore solo se espressione di un assetto relazionale autentico, non se frutto di esclusione, di manipolazione o di deresponsabilizzazione di una delle figure genitoriali.

La sentenza si chiude con un richiamo forte al principio di legalità: il giudice di merito, laddove si discosti dal modello normativo dell'affido condiviso, deve spiegare in modo puntuale perché tale modello risulterebbe, nel caso concreto, contrario all'interesse del minore. E se decide di escludere il genitore anche dalle decisioni di maggiore rilevanza, dovrà dimostrare che tale esclusione è giustificata da comportamenti gravi, non episodici, e causalmente connessi al pregiudizio lamentato. Non è ammesso far discendere l'estromissione dall'esercizio della responsabilità genitoriale da una generica conflittualità o da considerazioni di opportunità.

Il contributo della Cassazione è duplice. Da un lato, frena una tendenza diffusa nei giudizi di merito a fare dell'affido super-esclusivo uno strumento di semplificazione nei casi complessi, talvolta anche come risposta implicita alla "stanchezza" istituzionale di fronte alla reiterazione dei conflitti. Dall'altro, riafferma che il diritto alla bigenitorialità non può essere sacrificato senza un'indagine approfondita e un'argomentazione solida. Non basta il disordine relazionale per giustificare la marginalizzazione di un genitore: occorre individuare con precisione la sua responsabilità, la sua condotta, e il danno effettivo che essa ha arrecato o potrebbe arrecare al figlio.

In definitiva, questa pronuncia rappresenta un invito a non confondere il dato fenomenico con la verità giuridica. Il rifiuto di un genitore da parte del figlio può essere autentico, ma può anche essere indotto. Il disinteresse può essere reale, ma può anche essere la conseguenza di esclusioni subite. Solo una ricostruzione attenta e rispettosa della complessità relazionale può guidare decisioni così incisive. La regola resta la bigenitorialità; ogni eccezione, per essere legittima, va motivata con rigore e misura.




VORRESTI MAGGIORI INFORMAZIONI?

Entro 24h dalla tua prenotazione riceverai una telefonata o una mail di conferma.